La casa è non dormire in mezzo alla strada. Un luogo dove riposarsi. Un posto dove sentirsi sicuri. È una cucina, delle camere da letto, un bagno. È la famiglia, la propria lingua, il proprio popolo. “Casa” può significare tante cose. E, ad Haiti, dopo il terremoto del 2010, per molti non è restato niente di tutto questo. A distanza di quasi dieci anni, ecco cosa pensano gli haitiani quando si parla della loro “kay”.

Sulle montagne alle spalle di Cap Haitien si trova La Citadelle Laferrière, monumento all’orgoglio haitiano e simbolo dell’indipendenza del Paese. Poco distante, le rovine del palazzo di Sans-Souci ricordano l’epoca dei re, mentre le caratteristiche Gingerbread in legno di Port au Prince mostrano l’eredità della cultura coloniale. Haiti è un paese ricco di storia e sono proprio i suoi edifici a raccontarla.

Il 12 gennaio 2010 ha luogo uno dei più grandi disastri della storia umana, quello che ha causato il maggior numero di vittime in rapporto alla popolazione totale. Le stime del Governo haitiano parlano di 300 mila morti e altrettanti feriti. Oltre 100 mila abitazioni e 200 mila edifici pubblici sono stati distrutti o danneggiati. A quasi 10 anni dal terremoto, che cosa è stato fatto? Cosa è stato recuperato, ricostruito e in che modo?

Ad Haiti oltre il 60 % delle costruzioni è fatto in cemento, fra i materiali più impattanti a livello ambientale. Gli haitiani lo associano alla sicurezza e alla stabilità. Ma non è così: la maggior parte dei danni causati dal sisma del 2010 sono stati riportati proprio da edifici costruiti in cemento. Alcune realtà virtuose si stanno allora impegnando nel promuovere l’uso di materiali alternativi e sostenibili come il bambù o la paglia.

Da scarto a risorsa. Il progetto di ricostruzione portato ad Haiti da Architettura Senza Frontiere Piemonte poggia le sue fondamenta sul materiale più povero e sottovalutato dell’isola: la paglia di riso. Nel distretto risicolo dell’Artibonite, coinvolgendo organizzazioni locali, Asf ha insegnato come fabbricare mattoni in paglia, per realizzare case più resilienti, antisismiche e confortevoli e avviare una filiera edilizia sostenibile.

A Wynne Farm, riserva ecologica a pochi chilometri da Port au Prince, si sperimentano tecniche di coltivazione biologica e metodi per proteggere la biodiversità. A Marmelade, il Centro agricolo Jean Dominique coltiva bambù per la bioedilizia e produce succhi di frutta incoraggiando la filiera a km zero. In un Paese in cui l’attenzione all’ambiente non è certo al primo posto, queste eccellenze sono esempi concreti della volontà di migliorarsi.

L’immondizia – fatrà in creolo – è uno dei più gravi problemi ambientali e sanitari di Haiti. La percentuale di raccolta rifiuti è tra le più basse al mondo. Non tanto un problema di quantità, ma di gestione, di mancanza di infrastrutture e di educazione. Nel vuoto organizzativo di cui soffre il Paese, ci sono però diverse piccole realtà virtuose che cercano di sensibilizzare e promuovere buone pratiche in materia di riciclo.

Haiti è un Paese con una forte instabilità politica, frequenti scontri sociali e a forte rischio guerra civile. Le profonde diseguaglianze, la corruzione, una violenza diffusa e la difficoltà a far rispettare la legge denunciate dagli stessi haitiani rendono complicata qualsiasi soluzione. Nonostante gli enormi problemi, c’è però chi non rinuncia alla speranza di ricostruire un futuro migliore. Partendo, ad esempio, dall’educazione.

Le donne di Haiti sono discriminate, spesso vittime di violenza e con difficoltà di accesso allo studio. Secondo il Gender Inequality Index 2017, il Paese è al 144° posto su 160 per disuguaglianze di genere. Nonostante le donne haitiane siano forti e abituate alle avversità, faticano più che altrove a veder riconosciuto il loro valore. Ma creatività e tenacia le soccorrono, dando vita a preziosi progetti di cooperazione al femminile.

Haiti è la seconda nazione al mondo per numero di Ong pro capite. Già molto presenti prima del terremoto, le organizzazioni internazionali che operano nel Paese sono aumentate in modo esponenziale dal 2010, arrivando a costituire un vero e proprio parastato. Gli aiuti certo sono fondamentali, ma il problema ora è riuscire a rendere stabili e inseriti nel tessuto economico e sociale i progetti avviati. Su questo ogni haitiano ha la sua visione.

Sostenibilità, in francese, si traduce con “durabilité”. Una parola che va oltre le tematiche ambientali e che si apre all’idea di stabilità, solidità e continuità nel tempo. Sostenibilità è una casa che non crolli, un progetto che non si esaurisca in pochi anni, la cura della propria terra. È una spinta al cambiamento che parte dalla creatività. Non un concetto oggettivo e immutabile, ma un’interpretazione soggettiva, personale e in evoluzione.